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La partita del commercio? Legata ai trasferimenti a fondo perduto

  • Ernesto Pappalardo
  • News
  • Read 416 times Last modified on Venerdì, 22 Maggio 2020 14:07

 

La dimensione reale degli effetti concreti sul versante economico della pandemia prende forma non solo nelle gravi difficoltà di riattivazione dei cicli produttivi più vari - alle prese con una crisi sempre più stringente dal punto di vista della circolazione delle merci - ma anche sul versante della vendita commerciale.

Il fenomeno non è probabilmente legato soltanto ad una compressione delle risorse destinate alla spesa che, tuttavia, viene convogliata - in maniera sempre “aggressiva” e ben al di sopra dei bisogni reali - prevalentemente verso il circuito dell’alimentare, in base ad una programmazione molto probabilmente occlusiva nel breve periodo delle risorse disponibili. In altre parole, l’incertezza sul futuro quotidiano impone – di fatto – economie che finiscono con il generare - oltre la spesa nell’alimentare - “disponibilità” da accantonare e destinare a impegni futuri che sicuramente prenderanno, prima o poi, forma all’interno dell’humus familiare. Se proviamo a

dare uno sguardo ai numeri che ha elaborato l’Ufficio Studi Confcommercio, ci rendiamo conto che siamo in presenza di un contesto emergenziale che si è già conformato in maniera strutturale con un preciso riferimento proprio all’extra-alimentare.

Basta prendere in considerazione i settori considerati più a rischio (nota del 11 maggio scorso) in questo contesto emergenziale. Quali sono? Ambulantato, abbigliamento, ristorazione, attività di intrattenimento e alberghi.

Le imprese che “rischiano la chiusura definitiva” – “se le condizioni economiche non dovessero migliorare rapidamente” – ammontano quasi a 270 mila. Ma è soltanto – scrive la Confcommercio – “una stima prudenziale che potrebbe essere anche più elevata perché, oltre agli effetti economici derivanti dalla sospensione delle attività, va considerato anche il rischio, molto probabile, dell’azzeramento dei ricavi a causa della mancanza di domanda e dell’elevata incidenza dei costi fissi sui costi di esercizio totali che, per alcune imprese, arriva a sfiorare il 54%”.

A conti fatti – considerando il totale di oltre 2,7 milioni di imprese del commercio al dettaglio non alimentare, dell’ingrosso e dei servizi – “quasi il 10% è soggetto ad una potenziale chiusura definitiva”.

Oltre ai settori prima presi in considerazione, rientrano in questo contesto le imprese “legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona”.

Se, invece, andiamo a valutare le perdite, emergono le professioni (- 49 mila attività) e la ristorazione (- 45 mila imprese). Dall’analisi della dimensione aziendale “il segmento più colpito sarebbe quello delle micro imprese - con 1 solo addetto e senza dipendenti - per le quali basterebbe solo una riduzione del 10% dei ricavi per determinarne la cessazione dell’attività”. L’Ufficio Studi della Confcommercio ha tenuto conto, nell’elaborare le stime, di “un rischio di mortalità delle imprese superiore al normale” per considerare “il deterioramento del contesto economico, gli effetti della sospensione più o meno prolungata dell’attività, la maggiore presenza di ditte individuali all’interno di ciascun settore e il crollo dei consumi delle famiglie”.

Ma esiste un altro fronte altrettanto importante da considerare con la dovuta attenzione. Un fronte che è stato valutato tenendo conto delle “nuove ipotesi di progressiva e graduale riapertura delle attività economiche, e mantenendo la data del primo ottobre come la più realistica per il ritorno a una fase di totale normalità, seppure con l’attivazione di protocolli di sicurezza che modificheranno i comportamenti di famiglie e imprese”.

In questo caso, per l’intero 2020, si è arrivati a stimare “un crollo dei consumi pari a quasi 84 miliardi di euro (-8% rispetto al 2019)”.

Una valutazione di tipo “prudenziale che, non si esclude, potrebbe anche peggiorare”. In questo caso Ufficio Studi Confcommercio ha potuto valutare che la perdita dei consumi si è concentrata - per oltre tre quarti – in “pochi di settori di spesa”.

Quali? Vestiario e calzature, automobili e moto, servizi ricreativi e culturali, alberghi, bar e ristoranti. E proprio alberghi, bar e ristoranti concentrano le cadute più “pesanti”: - 48,5% per i servizi di alloggio e - 33,3% per bar e ristoranti. Ma in questo caso “le stime sono molto prudenziali: le cadute potrebbero risultare a consuntivo decisamente più gravi se il ritorno alla nuova normalità sarà particolarmente lento”.

E’ del tutto chiaro che – “con un crollo della domanda così pesante” – “la sopravvivenza stessa di questi comparti di attività economica è messa a serio rischio”. Sotto osservazione permane, quindi, la reale capacità di impatto dei provvedimenti governativi, “di sostegno alla produzione e al consumo”, specifica Confcommercio. Come pure assume maggiore intensità la strada del sostegno al commercio attraverso la “trasformazione delle perdite di reddito del settore privato, causate dalla chiusura forzata per il lockdown, in maggiore debito pubblico”. In altri termini, le speranze di ripresa passano attraverso i “trasferimenti a fondo perduto a famiglie e imprese”.

Ernesto Pappalardo

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