Se è vero che la politica internazionale ha le sue regole, la recente telefonata tra il Presidente americano Trump e il Capo di Stato cinese Xi Jinping – durante la quale è stata ribadita la necessità di cooperare insieme nella lotta al coronavirus- non deve dare l’illusione che le ostilità tra i due Paesi si siano sopite.
È vero il contrario; i prossimi mesi saranno caratterizzati da una forte competizione. Questo perché mentre la Cina si appresta ad uscire dall’emergenza sanitaria, gli Stati Uniti sono nel bel mezzo della tempesta: il 27 marzo hanno superato l’Italia e la Cina per numero di persone infette da covid-19,
con New York che rischia di diventare il più grande focolaio al mondo superando Wuhan e la Lombardia.
La JP Morgan stima una contrazione del pil americano nel primo trimestre del 10% e del 25% nel secondo, con una previsione del tasso disoccupazione all’8,5%. La Cina invece potrà contare a fine anno su un incremento medio del +3%. (stime di Moody’s).
È in questo scenario che va letta l’operazione di soft power che Pechino sta attuando: uno sforzo enorme per fornire ai Paesi colpiti dal covid milioni di mascherine, expertise medica, kit di test, in quella che è stata ribattezzata la “diplomazia delle mascherine”, con le aziende biomediche cinesi che lavorano a pieno ritmo per trovare una cura.
Poiché nelle relazioni internazionali non esiste la categoria della “generosità”, questo fenomeno va inserito all’interno della competizione Usa-Cina che si gioca anche nel terreno della comunicazione e dell’immagine. La Cina non vuole più essere la causa di questa emergenza sanitaria ma la cura.
È in gioco il suo riposizionamento sia nello scenario internazionale sia nel fronte interno, in un Paese a cui era stato promesso dopo l’emergenza sars che nulla di simile sarebbe più successo. Lo sa bene anche Trump, alle prese con la campagna elettorale per il secondo mandato.
I suoi continui attacchi a Pechino per come ha gestito l’emergenza, le accuse di opacità e lentezza dei media nel dare le informazioni fanno parte di una strategia precisa. Il presidente americano non vuole sconfiggere il covid-19 ma quello che ha definito il “virus cinese”. Un virus che finita l’emergenza sanitaria, prenderà la forma di un riposizionamento strategico del colosso cinese nello scacchiere internazionale.
Corinna Maci